Iago

Iago (Roberto Sannino), è nato a Roma il 21 settembre 1968. Ha trascorso gran parte della sua vita ad Anzio e attualmente risiede nella vicina Nettuno. Perito elettronico e quattro anni di biologia alle spalle. È didatta di se stesso. Predilige lo studio e la lettura di quegli scrittori e poeti, che fino all’ultimo non hanno screditato la loro arte (da Hemingway a Kerouac, da Baudelaire a James Douglas Morrison), tenendo comunque in gran considerazione gli autori classici (ultima lettura in materia la “Metamorfosi” di Ovidio). Decide, improvvisamente, di abbandonare il mondo del lavoro. Per amor proprio e della scrittura. Scrive dal 2003, inserito in numerose antologie di concorsi a cui ha preso parte, conseguendo anche importanti riconoscimenti. Nel 2005 pubblica il primo volume di poesie intitolato “Inquietudine”, edito da Libro Italiano (RG) ed inserito nella collana “Poeti italiani contemporanei”.
È, dal 2004, socio onorario dell’Unione Italiana Scrittori ed Artisti. È in programmazione la pubblicazione di una raccolta di racconti.
Ipse dixit: “…siamo come scarabei dorati in viaggio su strade di piombo”
E-mail: iago_sr@libero.it
Approfondimenti

Il Biancospino

Iago

Le parole in movimento sono quelle che liberano le scintille dell’intuizione, della comprensione, della verità; quelle che volano alte senza timore di bruciarsi le ali, perché il cielo è il loro posto, e lì vogliono tornare.
Le parole in movimento sono dappertutto, e quando le incontri non puoi sbagliare. Sentirai prima una musica lontana, magari dimenticata, e poi ti accorgerai che è quella della tua stessa vita che ti chiama, che chiede di avere di nuovo il colore dell’avventura e della favola.
Se ti senti pronto ora apri questo libro, e tuffati nel cielo di Fonòpoli.
Titolo: Il Biancospino
Autore: Iago
Casa editrice: Fonopoli
Pagine: 32
Pubblicazione: ottobre 2005
ISBN: –
Prezzo: 6,00€

Questa pubblicazione è stata stampata quale 1° premio del Concorso letterario “Fonopoli – Parole in movimento” 2004 sez. poesia

Il Dubbio

Iago

Il “Dubbio” è il resoconto di una distonia tra realtà immaginazione e comunicabilità. Sicuramente un’opera tormentata, che esula dagli schemi e dalle tematiche poetiche odierne. Versi decisi, crudi, a volte aspri si equilibrano in un ambizioso gioco di emozioni, con liriche decisamente più miti dai toni pacatamente rassegnati. Si può quasi toccare il senso del sacro, a tratti in conflitto con la necessità di usare le emozioni come veicoli per oltrepassare i limiti imposti dalla fisicità del corpo. Dolore e gioia. Castità e peccato. Amore e odio. Libertà come assenza di origine. Virtù come imperfezione. Noia come morte. L’artista non giunge a nessuna conclusione, anzi esorta chi legge ad aiutarlo: “ parlatemi… amici nemici chiunque voi siate!”. Il dubbio quindi, riguarda la scelta di sapersi vivere; per evitare così di essere solo semplici macchine biologiche.
Titolo: Il Dubbio
Autore: Iago
Casa editrice: Seneca Edizioni
Pagine: 80
Pubblicazione: 2005
ISBN: 88-89404-48-5
Prezzo: 10,00€

Il Dubbio

La recensione del Circolo

Talvolta l’esistenza ripiega su se stessa e sbarra il passo alla mera accettazione del reale. Questo avviene nelle intense parole di Iago, nel suo doloroso colloquio con Dio, lontano e disinteressato, eppure presente, inesorabile ragione dell’essere nel mondo.
Attraverso la morte si riflette un’immagine destinata a svanire: la pietra conserva un’effige, un segno di labile presenza, la comune sorte di ogni uomo e di ogni bellezza. Anche l’amore, unico sogno di permanenza, è soggetto a queste leggi:
“E adesso lei è pietra, mutata per sempre nell’aspetto.
Assorbita dalla normalità. L’amore è un’opinione alla
mercè della collettività. L’originalità è respinta
dall’uniformità e l’unicità è un suicida condannato a vivere.

La pietra la consegnerà al Sempre, ma….
… il Mai piangerà le sue spoglie.”(Pietra)
Il desiderio è un filtro, l’infelicità dell’altro uno specchio, in cui le immagini di uomini e donne si scompongono, lasciando emergere la dilagante marea dell’IO. Le donne incontrate, desiderate, possedute e amate non sono che incarnazioni della tensione verso la vita stessa, con le sue incongruenze e speranze frustate, con la sua rigida strutturazione, a cui la dignità umana richiede di opporsi: “la pioggia di donna sul corpo d’un ballerino notturno” apre il varco ad una “notte orfana nata per amare male” e “con il gran caldo arrivano i cerimoniali
dei voti traditi; fino a che la morte non
separi ma prima che la vita unisca.”(Innocenza)

La sensualità carnale è l’involucro, il gesto, il quotidiano: la stessa Morte conosce questo giogo. (Se un giorno potessi)
In questi versi scarni e affilati troverete il peso dell’intima presenza a noi stessi, l’inesorabile vicinanza all’Infinito, eppure il gioco della melanconica ironia ( da Mi dicono che sono matto, perché il poetare di Iago comprende in se il vivere ed ogni sua sfaccettatura, avvolgendo parole, nella cadenzata struttura di un tempo interiore e nella noia che ne definisce i contorni.
“Il tempo ha cambiato il suo gusto, ma io … stordito
dal dormiveglia che in ogni dì mi incipria l’animo…
…mai cambierò il mio.” Dormiveglia

“Victa Iacet Pietas”

Iago

E’ tra noi, dentro di noi. Quiescente, come un seme che
aspetta la stagione giusta. Il Creato la conosce bene;
il cuore del tempo la chiamò a sé per ristabilire l’ordine.
Si nutre delle ossa di chi rifugge l’amore. Tra i sette
è la più letale. E’ l’ira, la dea più meschina.
Le sue vestigia, incenerite dall’irrazionalità, la consacrano
all’immortalità. Madre Vita la combatte, non c’è tregua,
le ostilità sono aperte. Avvolge il buon senso con
una nebbia infuocata. Il cocchio che porta la luce, ha
smarrito la strada. Mani troncate da buone intenzioni mancate.
Le sue gesta glorificano i carnefici di vittime sante.
L’eco suo risuona tra le montagne dell’odio.
La vetta è presto conquistata. Lontano, sulla grande onda,
viaggiano i puri di cuore; pronti per affrontarla.
Sulla terra, la classe dominante allatta i propri figli;
la crescita perfetta è solo un miraggio. Il demone è
ancora dentro e le piume nere vendono anime in
cambio di riconoscenza. Contenta è l’ira; la scelta è infinita.
Non è come la notte che tutto rende uguale; né come
il giorno che palesa le diversità. Lei non ha coscienza.
La sua venuta è immediata, senza premeditazione.
Violenza e discordia. Visi deformati dall’odio.
La mente rende la pietra scura. Bontà, rispetto e tolleranza;
custodi di una civiltà arcaica. I giudizi sono discordi,
i cuori si dividono, le fiamme divampano. L’ira trionfa.
Victa iacet pietas.
Le ceneri d’amore che restano, vengono trasportate dalla
speranza del vento. E comunque, è l’Amore, l’unico Vangelo
che ci può salvare. Lo sanno, i puri di cuore. La grande onda li sta portando, ma…….questo, lei……lo sa già.

Tradimento

Iago

La giustizia è morta; l’eccelso ha commesso il primo omicidio perfetto.
Nessuna condanna per chi ha inventato la coscienza.
Anime d’oro installate in corpi di creta.
I tormentati trovano asilo nel limbo.
Scalano le vette del monte gioco in cerca della luce.
Varcano il limite, il premio è la speranza eterna.
Radici, fusto e foglie.
L’albero è pronto per accogliere le spoglie.
Le tre dame annuiscono; il passaggio è assicurato.
La ferocia di un istante annulla i dettami di una generazione ingenua.
Il confessionale è gremito di venditori ambulanti.
L’alibi non regge, il nulla è nelle mani di chi crede di immacolare l’anima.
La fisicità non concede tregua.
Tocca e muori.
Desideri inconciliabili.
Virtude stanca.
Il buon senso è alla mercè del buio, mentre i santi invocano il riposo eterno per essere consacrati alla storia.
Mecenati, duchi e re.
Le masse mormorano, quale civiltà è dunque questa?
Col senno del poi, i padri incolumi rinnegano i figli, vittime sacrificali sull’altare della prosperità.
Fratelli smarriti tra lacrime di gioia.
L’amore è stemperato dalla lungimiranza, trascinato per mari in tempesta, da navigatori solitari.
Gli dei sono ostili alle vere unioni ed impongono comandamenti sbagliati per ombre deformate dalla direzionalità.
Il risveglio è un sogno per chi non dà ascolto alla controparte.
Giuda arreca danno a chi dona la fede.
Trenta denari per non vedere ed una corda per non soffrire.
Coscienza e desiderio duellano ancora mentre il tradimento respinge la nuova levata eliaca.
Madre, padre e figlio; la sacra famiglia è qui riunita.
La festa avrà inizio, molte anime accorreranno ma solo poche si incontreranno.
La nuova luce sta per arrivare, tra occhi sgranati e grida assortite.
Le grandi orecchie non sentono le note elementari.
Le membra, stanche, aspettano la rigenerazione.
La mela è di nuovo colta, la traiettoria è già segnata.
Che nessuno giudichi, che nessuno parli.
La neve diventa nera, un occhio solo basta per osservare pochi colori.
L’arcobaleno è uno straccio opaco; il cerchio non si chiude.
Ma quando la grande sfera smetterà di risplendere, tutti freneticamente andranno alla ricerca della complementarietà…ma solo per quei pochi che la troveranno sarà…amore eterno.

Caos

Iago

Il mare è ghiacciato.
Il cuore è immerso nelle sue profondità.
La neve imbianca le pareti rigide dell’anima.
Il passaggio dalla luce all’oscurità, è sottile come la tela di un ragno.
Gli antropomorfi, lasciano accesi i bracieri per illuminare le notti perenni.
Assalgono i carri, pieni di fieno, per alimentarli.
La Veronica mostra l’immagine del grande guerriero per calmarli.
L’aquila, dall’alto, passa ed osserva.
Nessun messaggio da portare per loro.
Animali che si atteggiano ad esseri pensanti.
L’evoluzione giustifica i mezzi.
Nelle vasche i voltapietre, nudi, trovano il riposo eterno.
Le loro vestigia vengono consegnate alla storia.
I custodi credono di capirne il significato.
Le strade sono invase dagli esperti.
Padroni dell’ignoranza, perché non hanno passione;
madre della vera SAPIENZA.
La statua della tradizione è ancora in piedi;
ed il riciclaggio degli intendimenti continua.
I Domenicani si travestono da pecore per inquisire chi mette in discussione la corona di spine.
Gli antropomorfi non hanno più fede.
Sorrisi mutati in grida eloquenti.
Le parole non sentono.
L’empireo è una discarica abusiva.
Dal suo grembo piovono lacrime purpuree di angeli decaduti, che balbettano profezie ataviche.
Le loro orde si fermeranno di fronte alle impronte lasciate sulle ceneri, dalla nostra agonia.
Deserti, ombre e rovine.
Non c’è nulla da conquistare, ma solo ghiaccio da rompere.
Per portare il cuore al cospetto di colui che tutto questo ha voluto.
Per chiedergli quale sia il senso del peccato originale.
Affinchè non si possa più decadere.
Affinchè non si possa più morire.
La Veronica chiude gli occhi, l’aquila vola via.
Tutto quello che dovrebbe essere non è;
e tutto quello che è non sarà.

Canto di Natale

Iago

Gioite e siate felici,oggi c’è il canto di Natale.
Giochiamo a carte,puntate e sorridete di fronte al grande albero finto.
Oggi noi vivremo,è il carnevale rosso,una festa ad inviti per soli eroi.
Su, forza dai le carte e scommetti tutto quello che sei,di sicuro perderai.
Un bastone secco,un’aquila che non sa cosa sia il volo,una spada arrugginita,una coppa vuota e l’oro rubato dai furbi è tutto ciò che abbiamo in mano.
E’ il nostro futuro.
Adesso il gioco delle ombre è finito.
E’ mezzanotte,andiamo a messa,stacchiamo il biglietto per il paradiso;c’è un tale lì che li regala a tutti.
Oggi non c’è discriminazione,tanto di fuori è appeso un fiocco azzurro.
E’ per il prescelto che avrà lacrime per chi soffrirà e sorrisi per chi godrà.
E’ il fabbricatore di sogni che ha deciso così.
Nella casa di legno gli eroi diventano pagliacci con i sorrisi imbruttiti dai loro denti cariati,mentre di sopra gli dei continuamente si trasformano per ingannare i nostri sensi.
E’ l’ora di rincasare,adesso,il gallo ha già cantato tre volte.
Possiamo scambiarci i regali,ora.
Il vecchio dalla barba bianca e la sua renna malsana e denutrita non hanno più doni da offrire ai grandi figli.
Questi ormai sanno già che la morte toglie ciò che la vita non può offrire e che Saturno divora la sua progenie perché la ama troppo.
E sanno anche che i santi sono i veri carnefici nello spirito.
Il canto di Natale riecheggia in ogni dove.
Note che si uniscono,altre che si lasciano,ma alla fine la musica è sempre la stessa.
Il vecchio dalla barba bianca, triste e solo, mestamente si ritira.
Torna al grande freddo da dove è venuto,in attesa di note più sublimi e sincere da ascoltare.
Buon canto di Natale a tutti.

La stanza

Iago

Lasciare, vivere e morire.
La stanza è vuota.
Il bambino piange, la trasformazione non è avvenuta.
Scivola sulla piattaforma d’acqua benedetta.
Non c’è battesimo senza inizio.
Prepara il fuoco, oggi ci sarà un’altra bocca da sfamare.
E’ la tua, fame di pazzia per un gioco che si chiama follia.
Non devi far niente, è già tutto stampato sulla tua pelle.
Dimmi ciò che provi e ti dirò chi sei.
La stanza è vuota.
Il bambino piange, la trasformazione non è avvenuta.
Riempi la stanza e lascia vivere la morte.
Restituisci il sorriso al bambino, asciuga le sue lacrime.
Lui deve vivere, crescere ed… amare.

Uomini fango

Iago

Fari nella notte che uccidono l’innocenza.
Stivali vuoti da strade imbalsamate.
Legami crudeli e conoscenze carnali
sono gli uomini fango
girano di notte camuffati da profeti per adescare le proprie figlie.
Le loro madonne non sanno a che ora inizia la cerimonia.
Giurano di amarle e poi le tradiscono con il sorriso stampato sulle loro
bocche sbavanti.
E versano il loro veleno negli orecchi di chi invece parla di amore vero.
sono gli uomini fango
Rane scavatrici dalle teste appuntite i corpi tozzi e le gambe corte.
Il muco viscido secreto dalle ghiandole degli occhi, sembra che li faccia
piangere.
Ma loro sono felici, così. Distribuiscono sofferenze.
Fuggi Aurora, spezza i tuoi raggi dorati.
Non farti trovare. Lasciali vagare nella notte.
E’ quello che vogliono.
E’ quello che sono.

I profeti

Iago

Un volto screditato su un lenzuolo immacolato, il segreto non vuole essere abbracciato.
I profeti siedono sul trono del mondo.
Conoscono la via per ingannare la verità.
L’eternità è una serra dove tutti vedono la stessa cosa.
Rivestono continuamente la loro pelle con fili d’oro.
Annebbiano i loro sensi con i fumi olandesi e danzano, sorridono, felici per la loro tristezza.
Ascolta Dama bianca, le loro grida.
I profeti vendono illusioni, vocaboli, orazioni.
Vieni con me io non ho verità; scopri te stessa e dammi la tua nudità.
Non c’è scelta, i visi sono molti, plastificati e modellati da Mercurio nel nome della velocità.
Mutazioni impercettibili, aprono il sentiero all’assenza ed organizzano un funerale per la conoscenza.
Danzano.
Virtuosismi, imprecazioni.
Chiedono altra verginità da donare alla prosperità.
Altri umani da convertire, nella casa di correzione.
Le porte sono aperte e l’infermità passa a donare la formula per diffondere la nullità.
Il siero è pronto e le braccia dei ballerini sono tese.
Vene evidenti per pazienti dementi.
Stranieri dentro le loro ossa.
L’ultimo passo di danza si fa con la morte, lei non sa più chi uccidere ed invita al valzer chi l’ha inventata.
Manca un volto, non c’è responsabilità.
I veri lineamenti sono stampati sul lenzuolo da chi ha deciso di abbracciare il Padre.
L’immagine sorride al suo opposto quando il Libero Arbitrio è spettatore di se stesso.
Dall’alto, la Vita piange.
I suoi abiti restano nell’armadio.
La vestizione aspetta che la musica sia finita.
Il Libero Arbitrio, impassibile aspetta il suo turno.
Tira su il lenzuolo, copre tutto ciò che resta e quel viso, impronta di un’intenzione perfetta… svanisce.

L’uomo con la coperta

Iago

Per le strade un uomo solo và.
Alto, snello e trasandato.
Scuro in volto, a passi lenti e cadenzati.
Con gli occhi socchiusi, come se nulla lo turbasse.
Scalzo, non curante del freddo e delle intemperie.
La sua unica compagna è una coperta che tiene gelosamente sulle spalle.
Di notte, quando il suo peregrinare cessa, la stringe a sè e parla con lei.
Nessuno sa cosa le dice né quale segreto li unisce.
Una scelta, un dolore o la follia.
La felicità è forse il premio per gli insani di mente?
Lo vedo scalzare, sotto una pioggia battente.
Calmo e distaccato.
Mentre tutti cercano riparo.
Vorrei aiutarlo, nonostante lui non lo permetterebbe.
Ma…
mi piacerebbe parlare con la sua coperta, per scoprire se i suoi
turbamenti possano essere in qualche modo,
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