Mon amant de Saint Jean

Simbolo di una Parigi storica che non c’è più, quella romantica e dagli occhi languidi, questa canzone ha fatto la storia e resta un caposaldo della cultura d’oltralpe.

Suonata in ogni bistrot e in ogni treno della metro dalle orchestrine di tzigani di passaggio, la si ascolta ormai sovrapensiero e senza interesse, destino amaro di alcuni altri classici come da noi potrebbe essere ‘Nel blu dipinto di blu’.

Uscì nel lontano 1942 l’Amant de Saint Jean, con le parole scritte da Léon Angel e l’accompagnamento musicale, un valzer, di Emile Carrara.

In questi 70 anni l’hanno interpretata in tanti, anche se nell’immaginario colletivo resta stampata la versione magica di Edith Piaf, con la sua voce drammatica e struggente che la colloca perfettamente nel periodo della seconda guerra mondiale.

Fu ripresa nel 1980 dal maestro François Truffaut per il film ‘Le Métro’ e nel 2002 è stata nuovamente proposta da un interprete di spicco della scena musicale francese contemporanea, Patrick Bruel.

Un evergreen insomma, una canzone che -credo- conosciamo anche in Italia, o quanto meno quelli che come me sono un po’ più avanti negli anni…

Mi metto a leggere il testo per capire le parole. Neanche a dirlo, grande allegria. Sono le parole disilluse di una ragazza che a Sain Jean incontra un tipo, lo immagino come un bel tenebroso dell’epoca, e con lui si concede un ballo e poi un bacio di quelli che fanno girare la testa. Come non credere alle ‘dolci parole d’amore / quando sono dette con gli occhi’? Come non cedere senza volontà a quei baci del più bello di Saint Jean? Ma l’amore come incanta così illude, e oggi che quel ragazzo non c’è ‘non parliamone più / è il tempo che fu’.

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