24 aprile 2007: Il Circolo intervista Patrizia Ortolani

L’Africa, il continente Nero, oscuro nei suoi segreti e misteri tanto quanto il colore che gli viene attribuito. Eppure qualcuno vi ha scorto una luce che finora ci era sfuggita. L’Africa diventa bianca, l’ombra si trasforma e respira, la paura si disperde perché si accenda la speranza di una popolazione che vive di pregiudizi e di stenti. Cristiano Sabbatini intervista Patrizia Ortolani, una donna che ha provato sulla propria pelle le profonde contraddizioni che l’Africa conserva. Moglie di un esperto internazionale, si è occupata di progetti di educazione alimentare in Rwanda, Burkina Faso, Benin e Angola. Gli argomenti tracciati in questo percorso hanno toccato temi come la solidarietà, il costume e la società, la letteratura, il cinema e non solo.

Il concetto di “povertà” sembra avere una definizione unica. Essere poveri in Africa e in Europa è la stessa cosa?
Le due concezioni hanno una differenza insanabile; in Europa povero è colui che non può permettersi solo determinati beni, il povero africano, invece, soffre l’assenza di cibo e di beni primari.

Ogni anno vengono elargite ingenti quantità di denaro a favore dei paesi in via di sviluppo, ma la situazione non sembra migliorare. Dove si interrompe l’iter di distribuzione?
Sicuramente all’arrivo. Ho visto casse della Croce Rossa rivendute nei mercati a prezzi di strozzinaggio. Purtroppo è un fenomeno che esisteva in passato e che permane anche nel presente. Su questo argomento, almeno in questa sede, preferisco sorvolare.

Muhammad Yunus ha vinto il Nobel per la pace nel 2006. Mediante l’utilizzo del microcredito, Yunus ha trovato il modo di fornire al 10% della popolazione del Bangladesh (12 milioni di persone) gli strumenti per uscire dalla miseria. Dal libro di Yunus “Il Banchiere dei poveri” (Feltrinelli), risulta che, di fatto, la percentuale di rimborso del prestito è addirittura del 98%. Sarebbe possibile applicare ai paesi africani più poveri misure analoghe a queste? Esiste uno “Yunus” in versione africana?
L’africa non è l’Asia, anche il concetto di denaro è differente. In Africa non si è legati tanto al denaro quanto all’alimentazione; è questo un luogo saldamente legato alla tradizione e anche i valori sono archetipizzati.

Le donazioni a distanza sono realmente efficaci?
Personalmente ho adottato una bambina e credo che il sistema funzioni. Il donare, inteso nella concezione impari del buono occidentale che dona al povero africano, è profondamente sbagliato. Occorre la canna da pesca più che il pesce, consuetudine per dire che è necessario fornire gli strumenti. Io credo nella cooperazione decentrata; in Africa servono microprogettazioni che siano attuabili secondo i metodi della popolazione locale.

In Africa l’incidenza dell’AIDS sul tasso di mortalità è devastante. Cosa fa l’occidente per interromperne la diffusione?
Non è semplice rispondere in quanto non è possibile considerare l’Africa come un’entità compatta. Esiste una doppia Africa: una occidentalizzata e l’altra tradizionalista. Nella parte occidentalizzata, sicuramente l’impegno è notevole; ma nell’altra, le malattie sono curate ancora con le erbe e la popolazione si affida alla magia degli stregoni che giustificano la morte come frutto della volontà di uno spirito.

Quanto la superstizione è insita nella società africana? In che modo si manifesta?
Non esiste superstizione ma tutto è “magua”, la magia. Mi spiego meglio: nel caso di un ipotetico incidente stradale in occidente saremmo pronti a dare la colpa alla macchina, all’autista, alla pioggia, ecc., in Africa invece se ne cercano i motivi nell’ostacolo posto nei confronti di divinità o essenze. Come nel rapporto causa-effetto, ogni cosa che accade ha un perché in una sorta di predestinazione. Ma il fatalismo troppo spinto diventa alibi e pigrizia. Ciò che l’africano deve fare è ricominciare da capo per riabilitare una dignità calpestata.

L’usura è uno dei fenomeni che maggiormente zavorrano la crescita tanto del singolo quanto di un intero paese. L’usura è presente anche in Africa?
Si, ma ha una concezione diversa rispetto a come è intesa da noi. Lì è legata allo strozzinaggio dei generi alimentari da parte dei produttori.

Qual è il ruolo delle donne in Africa?
Le donne sono molto importanti, sono la spina dorsale del continente, la sua forza. Le madri sono le leader della famiglia anche se in società non emergono molto. Sono donne che non si sentono mai fallite. Se non ci fossero le donne mancherebbe l’anima africana. Vi racconto un aneddoto: ho visto una donna incinta camminare con un figlio in spalla, il cesto della spesa pieno e accanto a lei il marito che portava solo la sua radiolina.

In una sua recente e-mail ha scritto un pensiero molto interessante: “Non si può pretendere di considerare un popolo “civile” solo se lo si adegua al nostro modello”. Cosa significa?
L’Africa possiede una civiltà meravigliosa e dei valori straordinari. Pensate che i figli sono considerati un prestito della divinità. Gli africani hanno un rispetto grandissimo per la vita, anche se, essendo questo un luogo pieno di contraddizioni, tale valore non esiste in tempo di guerra.

Ritengo che la gran parte dei bambini italiani (ma forse dovrei dire occidentali) sia viziata “per definizione” e non oso immaginare il loro sviluppo da adulti. In cosa la società africana potrebbe essere maestra di vita per noi occidentali?
Anche i bambini africani appartenenti a un ceto benestante, sono ugualmente viziati. È un continente sottoposto a numerosi dualismi e questa ne è un’ennesima rappresentazione. Ciò che mi ha colpito è il grande rispetto per gli adulti e gli anziani. Si tende a curare i vecchi per preservare la loro saggezza, ed è questa una regola che vale in tutte le classi sociali.

Come educatrice alimentare ha collaborato con alcuni missionari spagnoli. In cosa consisteva materialmente il vostro lavoro?
Insegnavamo che la nutrizione è importante non solo per combattere la fame, ma anche per prevenire le malattie. Nei luoghi in cui sono stata ho fatto conoscere i benefici dell’insalata che non era utilizzata, o del pesce che veniva mangiato solo dalle popolazioni che vivevano in prossimità di laghi o fiumi.

La tratta degli schiavi durò fino alla fine del X1X secolo. Lo schiavismo è un fenomeno realmente estinto in Africa?
Formalmente non esiste, ma in realtà è un fenomeno ancora presente. Ricordiamo ancora l’esistenza delle due Afriche, la tradizionale e l’occidentalizzata.

“…Quel giorno avevo motivo di essere più eccitata del solito per il ritorno a casa. Avevo finito i miei studi e stavo tornando a Dankana per insegnare nella sua unica scuola, la St. Dominic, la stessa che avevo frequentato anch’io. Mi piaceva l’idea di restituire qualcosa alla mia terra ed ero contenta di tornare a vivere a Dankana e di far parte della comunità. Perché Dankana è la casa e, come chiunque da queste parti direbbe con orgoglio, la casa è la casa…”. (estratto da Foresta di fiori edito da “Edizioni Socrates”, scritto da Ken Saro-Wiwa, autore nigeriano morto nel ’95).
Per noi occidentali la proprietà è un concetto elementare, un punto di riferimento quasi scontato. Cosa significa “la casa è la casa” per quelle popolazioni che non ne hanno mai visto una vera? Cos’è la “casa”?
Bisogna abbandonare il nostro modo di pensare. Noi europei intendiamo “casa” la fissa dimora; per gli africani la casa è la famiglia, i ricordi e l’ambiente, non importa se rappresentato da un tetto di paglia o da un muro di mattoni.

Qual è la sua posizione in merito alla cancellazione del Debito nei Paesi in via di sviluppo?
Sono d’accordo, ma non si può regalare nulla. Occorrerebbe che questi stati si impegnassero seriamente e si assumessero le proprie responsabilità; per esempio in materia di alfabetizzazione o opponendosi ai traffici di scorie tossiche e di armi.

Quale film ci consiglia di vedere per avere una visione che maggiormente si avvicini a quella che è la realtà africana?
Per esempio “il Viaggio”, di un autore del Burkina Faso, racconta l’esodo di un popolo verso l’Occidente e riflette la vita di un africano che si spinge verso l’ignoto. È il punto di vista che rappresenta la principale novità rispetto a film come “la mia Africa” nel quale lo sguardo attraverso cui si osserva la realtà è tipicamente occidentale.

Cosa l’affascina di più dell’Africa? Da cosa i suoi figli erano più colpiti?
Sicuramente dalla natura e dalla cortesia delle persone. A mio figlio rimase particolarmente impresso l’attacco dei Nibi, che sono grossi uccelli simili ad avvoltoi. Era molto piccolo e rimase notevolmente impressionato.

Quali sono i posti che non si può non andare a vedere?
Del Rwanda certamente il parco dei gorilla chiamato “Kagera”. L’Angola è meravigliosa, il cielo sembra più basso che da noi. Bisogna però fare molta attenzione perché ci sono ancora mine anti-uomo inesplose. Sicuramente è stupendo il mare sul quale si affacciano le terre africane. I colori e i profumi di tutta l’Africa sono indimenticabili, le persone sono calorose e accoglienti.

Ci può raccontare una sua avventura indimenticabile?
Un episodio indimenticabile fu quando scoppiò improvvisamente un colpo di stato. Eravamo al ristorante dell’OVIV: dopo aver recitato la preghiera iniziale che il locale richiede come sua consuetudine, abbiamo cenato. Ad un certo punto arriva una suora e ci dice con un sorriso graziato: “Pare ci sia stato un colpo di stato, recitiamo una preghiera ed andatevene”. Siamo usciti dal ristorante e ci siamo ritrovati al buio. Siamo andati in macchina e ci siamo mossi nell’ombra prestando la massima attenzione perchè ci potevano sparare da un momento all’altro. Nonostante non ricordassimo la strada, ce l’abbiamo fatta. Da allora cerco di mantenere una promessa che feci quel giorno mentre pregavo per la nostra incolumità: parlare di meno quando sono in pubblico.

Questa sera abbiamo invitato al nostro incontro Andrea Pontrioli, responsabile dell’Ufficio Stampa di Medici Senza Frontiere, nonché vecchio socio del Circolo. Abbiamo visto la tua intervista andata in onda ieri sera alla trasmissione Le Iene, riguardante la nuova campagna di sensibilizzazione “Dimmi di più”. Puoi parlarci della tua associazione e spiegarci di che cosa tratta questa iniziativa?
Medici Senza Frontiere è una organizzazione umanitaria che nasce nel 1971 ad opera dei medici della Croce Rossa Internazionale, e che si basa sul principio della “confidenzialità”. La caratteristica principale dei MsF è la combinazione tra l’essere medico e giornalista. Da un lato quindi si aiutano le popolazioni ad affrontare le carestie, dall’altro si cerca di informare il grande pubblico sulle condizioni in cui queste popolazioni vivono. Ogni anno redigiamo il “Rapporto sulle crisi dimenticate” perché i media ci informano solo dei conflitti che rientrano nella propria logica come l’Iraq, il Medio Oriente… Ma sono tante le guerre che restano segrete, di cui nessuno sa nulla; un esempio è costituito anche dal caso della Somalia. Purtroppo il valore di una notizia aumenta qualora essa si riferisca al macrotema del terrorismo o nel caso in cui sia connessa al dibattito interno del paese nel quale viene trasmessa. Perciò ci impegniamo a chiedere a tutti i direttori dei telegiornali e quotidiani italiani “dimmi di più”! Una malattia come l’aviaria ha avuto uno spazio mediatico amplissimo con 410 servizi all’interno dei giornali per raccontare 80 decessi in tutto il globo. Malattie dimenticate come la tubercolosi hanno causato solo quest’anno due milioni di vittime; l’ultimo test diagnostico risale al 1800 e occorrono sei mesi per curarla, troppo tempo per chi ne soffre. Eppure i media ne hanno parlato solo in tre servizi durante l’arco dell’anno, creando un clima di eccessivo allarmismo sulla aviaria e facendo investire miliardi in questa ricerca. I numeri parlano chiari ed esplicitandoli possiamo creare un effetto di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questi temi.

Nelson Mandela disse “la mia più grande aspirazione è che ogni bambino in Africa vada a scuola perché l’istruzione è la porta d’ingresso alla libertà, alla democrazia e allo sviluppo”. Qual è la sua più grande aspirazione?
La capacità di fare e di agire, di muoversi per il bene comune, senza l’ansia del ricevere e dell’avere in dono.

Salvo Cagnazzo e Giulia Magliozzi}