03 ottobre 2006: Il Pendolo

Un anno fa, non me lo sarei immaginata. Il ristorante tutto per noi; noi che non ci conosciamo mai tutti quanti perché c’è sempre qualcuno in più, un amico dell’amico a cui piace scrivere. E dopo la seconda portata si spengono le luci e Cristiano entra con la torta di compleanno. Si festeggia. Si festeggia davvero, non è la solita cena.
Sì, perché le nostre riunioni letterarie cominciano dopo il lavoro “ufficiale”, nel tardo pomeriggio, e finiscono a tagliatelle e vino alla trattoria all’angolo. Come i veri “artisti”, quelli che amano i piaceri della vita. Tra una forchettata, un progetto e una poesia, si fa notte e andiamo via sfatti e soddisfatti. E quando finalmente ci infiliamo sotto le coperte, ci giriamo dieci volte nel letto irritati da una sensazione sfuggente. E ci addormentiamo con un sorriso solo dopo aver capito che Cristiano e Slawka ci hanno di nuovo intortati e coinvolti nell’ennesima faticosa e improbabile iniziativa.

Già, quante ne avremo fatte finora? Beh, certamente, tra i tanti progetti e i buoni propositi, l’iniziativa Librimbi è stata per me la migliore, quella che ci ha dato le soddisfazioni più grandi (stasera l’ho detto anche alle new entry del Circolo che, da vera “imbonitrice”, ho rimbambito di chiacchiere!). Però che bella serata. Sembrava di essere nei salotti letterari di un tempo: buon vino, belle teste che parlano di arte ma non disdegnano le conversazioni più triviali, risate, riflessioni e poi lei, la motivazione più grande, la nostra creatura: “Il Pendolo”.
Quando Cristiano ce l’ha mostrata in tutta la sua bellezza, io me lo sono immaginato con il camice e la mascherina verde da ostetrico e mi sono sentita come un padre che attende l’arrivo del suo bebè, solo che al posto delle sigarette, per ingannare l’attesa, addentavo pezzi di lasagna e arrosto. Allora avrei voluto commuovermi, lo faccio sempre, anche quando vedo Dumbo della Disney. Invece non ci sono riuscita, troppo su di giri.

In quel momento, nell’euforia generale, ho visto cose che voi umani non potreste immaginare: Diego e Armando tenevano banco al mio (e sottolineo “mio”) tavolo, contornati da ragazze letteralmente “appese” alle loro labbra; io e Cesca Maria in preda al delirio letterario, abbiamo iniziato a chiamarci con appellativi tipo “Madame Bovary” e “Anna Karenina”; molti commensali si sono accovacciati intorno al poeta Iago per ascoltare la lezione di retorica americana tenuta dal lupo stampato sulla sua T-shirt; e Cristiano detto “il Cappellaio Matto”, nel fare il suo discorso, tradiva un chiaro, e lontano segno di emozione. Che altro posso dire? Un anno fa, non me lo sarei immaginata.

Francesca Spinello e Francesca Targa

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